Sussiste violazione dell’art. 2, sotto il profilo materiale, qualora l’uso della forza mortale da parte degli agenti dello Stato non sia assolutamente necessario, ossia sproporzionato nelle circostanze.
Sussiste violazione dell’art. 2, sotto il profilo procedurale, qualora le autorità statali vengano meno all’obbligo di condurre indagini efficaci in ogni caso in cui vi sia stata la morte di un uomo a seguito del ricorso alla forza.
Non costituisce violazione dell’art. 14 in combinato disposto con l’art. 2, sotto il profilo materiale, qualora non risulti sufficientemente provata che la condotta della polizia sia fondata su discriminazioni di ordine razziale.
Costituisce violazione dell’art. 14, in combinato disposto con l’art. 2, sotto il profilo procedurale, la mancanza di indagini efficaci volte ad accertare la sussistenza di un comportamento discriminatorio.
I ricorrenti sono rispettivamente il padre ed i nonni del giovane di Moravia Ramsahai, ucciso in circostanze sospette nel corso di un’operazione di polizia. Il 19 Luglio 1998, durante il festival "Kwakoe" nel quartiere surinamese di Amsterdam, M. Ramsahai aveva rubato lo scooter al Signor Hoeseni, dopo averlo minacciato con una pistola. Nell’immediatezza dei fatti, il Signor Hoeseni aveva denunciato il furto alla polizia, che intraprendeva le ricerche del ladro. Poco dopo, il ciclomotore guidato dal Signor Ramsahai veniva rintracciato da una pattuglia di poliziotti in servizio. Nel corso dell’inseguimento, il giovane Ramsahi aveva opposto resistenza all’arresto, minacciando con la pistola gli agenti di polizia, i quali aprivano il fuoco contro di lui, provocandone la morte. Immediatamente veniva aperta un’inchiesta penale, che portava all’incriminazione del poliziotto che aveva sparato. Durante le indagini, svolte dapprima dalla polizia locale e poi dal Dipartimento statale per le indagini penali, venivano ascoltati alcuni testimoni, interrogati i poliziotti, nonché veniva svolto un esame autoptico sul corpo della vittima. All’esito dell’istruttoria, il procuratore designato archiviava il procedimento penale a carico dell’indagato, affermando che quest’ultimo avesse agito per legittima difesa. Tale decisione veniva confermata in appello.
I ricorrenti propongono ricorso alla Corte EDU e, invocando la violazione degli articoli 2, 6, 13 denunciano che la morte del giovane sarebbe stata causata da un uso eccessivo della forza da parte degli agenti di polizia. Essi contestano altresì l’assenza di un’inchiesta effettiva, lamentando in particolare che le indagini siano state condotte da soggetti appartenenti allo stesso corpo di polizia degli indagati, nonché di non aver potuto partecipare alle indagini ed al giudizio d’appello. La Corte EDU dichiara ammissibile il ricorso e conclude per la violazione dell’art. 2. Il Governo Olandese chiede, quindi, il rinvio dei caso davanti alla Grande Camera ex art. 43 della Convenzione. La Corte, in composizione di Grande Camera, statuisce per la violazione dell’art. 2 della Convenzione europea, dal punto di vista procedurale, escludendone di contro la violazione sotto il profilo sostanziale.
Il Governo olandese replica, sostenendo che il ricorso alla forza nel caso de quo rientrasse nella fattispecie ex art. 2, che autorizza l’uso della forza se assolutamente necessario per legittima difesa. Il poliziotto che aveva sparato, infatti, aveva agito proporzionalmente all’offesa subita. Il Governo ha inoltre evidenziato che le indagini condotte erano state efficaci, essendo stati impiegati tutti i mezzi di prova utili ai fini dell’accertamento completo dei fatti, ed obiettive, atteso che gli organi inquirenti erano indipendenti rispetto ai poliziotti coinvolti.
Sulla violazione dell’art. 2 - diritto alla vita
In merito alla dedotta violazione del diritto alla vita, la Corte ribadisce la sua giurisprudenza in merito (Nachova e altri c. Bulgaria), affermando che il ricorso da parte della polizia alla forza omicida per essere legittimo deve essere “assolutamente necessario” (McCann e altri c. Regno Unito, Sentenza del 27 settembre 1995). Tale formula implica che la forza utilizzata debba essere giustificata solo in determinate circostanze, da interpretarsi in maniera restrittiva (Andronicou e Constantinou contro Cipro, Sentenza del 9 ottobre 1997). La Corte ha poi ricordato che l'obbligo di proteggere il diritto alla vita imposto dall'articolo 2 della Convenzione, combinato con il dovere generale che incombe allo Stato in virtù dell'articolo 1 di «riconoscere ad ogni persona sotto la sua giurisdizione i diritti e le libertà definiti nella (…) Convenzione» implica ed esige di condurre una forma di indagine efficace in ogni caso in cui vi è stata la morte di un uomo a seguito del ricorso alla forza, sia che gli autori siano agenti dello Stato che terze persone. In particolare, le investigazioni devono essere effettiva, indipendente ed imparziale (Çakıcı c. Turchia, G.C., sentenza dell’8 luglio 1999). L’indagine condotta per essere effettiva implica che le persone che ne sono responsabili e quelle che effettuano le investigazioni siano indipendenti da quelle coinvolte negli eventi. Questo non soltanto presuppone la mancanza di qualsiasi legame gerarchico o istituzionale ma anche una indipendenza pratica. L'indagine deve essere effettiva anche nel senso che deve consentire di condurre all’identificazione ed eventualmente alla punizione dei responsabili. Si tratta di un’obbligazione di mezzi e non di risultato. È opinione dei giudici, infatti, che una risposta rapida delle autorità, quando si indaga sull’uso della forza omicida, possa essere considerata essenziale per preservare la fiducia del pubblico nel rispetto del principio di legalità e per evitare un’apparenza di complicità o di tolleranza nei confronti di atti illegittimi (McKerr c. Regno Unito, sentenza del 4 maggio 2001). Dopo aver richiamato i principi di diritto applicabili al caso di specie, la Grande Camera passa quindi ad esaminare singolarmente le doglianze sollevate dai ricorrenti. Quanto al preteso uso eccessivo della forza, la Corte ritenendo sufficientemente provata la pericolosità del giovane Ramsahai, sostiene che il ricorso alla forza omicida non abbia oltrepassato i limiti di quanto era assolutamente necessario per evitare ciò che il poliziotto aveva percepito come un pericolo reale e imminente per la sua incolumità. Pertanto, la Corte dichiara non sussistente la violazione dell’elemento materiale dell’articolo 2 della Convenzione. Quanto alla presunta inadeguatezza delle indagini, la Grande Camera, esaminando dettagliatamente lo svolgimento delle indagini da parte degli organi inquirenti, rileva diverse lacune investigative. In particolare, i Giudici di Strasburgo criticano il fatto che i poliziotti sospettati siano stati lasciati per circa tre giorni liberi di potersi incontrare e quindi concordare tra di loro la versione da fornire agli inquirenti. Orbene, anche se non risulta che essi abbiano approfittato di tale opportunità, continua la Corte, il solo fatto di averla resa possibile ha compromesso l’efficacia delle indagini nel suo complesso. La Grande Camera osserva, inoltre, che sono trascorse circa 15 ore dalla morte di Moravia Ramsahai al coinvolgimento nelle indagini del Dipartimento statale per le indagini penali. Durante tale lasso temporale, i primi rilievi sull’accaduto sono stati effettuati dallo stesso corpo di polizia, a cui appartengono gli agenti incriminati. Invero, tale ritardo ingiustificato è considerato dai Giudici Europei inaccettabile, in quanto non fornisce idonee garanzie di indipendenza e trasparenza delle indagini. Per tali motivi, la Grande Camera conclude per la violazione dell’art. 2 della Convenzione europea, dal punto di vista procedurale. Quanto al ruolo del Pubblico Ministero, la Grande Camera sottolinea che nei Paesi Bassi il Pubblico Ministero, pur non godendo di piena indipendenza, ha una gerarchia propria, separata dalla polizia. Ad avviso dei Giudici, nella fattispecie in esame, sebbene sarebbe stato preferibile che l’inchiesta in oggetto venisse supervisionata da un pubblico ministero, non collegato alle forze di polizia di Amsterdam, non sussiste violazione dell’art. 2, atteso che la responsabilità finale per l'indagine era a carico del Procuratore Generale, nonché la possibilità per i ricorrenti di proporre appello. Quanto, invece, alla possibilità dei familiari di prendere parte alle indagini, la Corte ricorda che l’art. 2 non impone l'obbligo in capo alle autorità inquirenti di soddisfare ogni richiesta di accesso alle indagini in corso avanzata dai parenti delle vittime. Ad avviso dei Giudici, i familiari del giovane Ramsahai hanno avuto informazioni adeguate sulle indagini, tali da consentirgli di partecipare in modo efficace al procedimento penale in corso. Per tale motivo, la Corte conclude per la mancata violazione dell’art. 2 CEDU sotto tale profilo. Quanto, infine, al procedimento innanzi alla Corte d'Appello, la Grande Camera evidenzia che l'applicazione dell’art. 2 non si estenda al punto di richiedere che tutti i procedimenti penali sorti a seguito di una inchiesta su una morte violenta debbano essere pubblici. E’ necessario, continua la Corte, che vi sia un controllo pubblico nelle indagini sufficiente a mantenere la fiducia dei cittadini nella autorità statali ed a prevenire ogni forma di collusione o tolleranza di atti illeciti. Nel caso in esame, la Grande Camera ritiene che il requisito della pubblicità sia stato soddisfatto, in quanto ai ricorrenti è stato consentito sia l'accesso all’intero fascicolo istruttorio, sia di partecipare in modo efficace al procedimento innanzi alla Corte di Appello, escludendo pertanto la violazione dell'articolo 2.
Tenuto conto di queste constatazioni, la Corte non ha ritenuto necessario pronunciarsi sulla presunta violazione degli artt. 6 e 13.
In allegato alla sentenza si segnalano le opinioni dissenzienti dei giudici Bratza, Rozakis,Lorenzen, Vajić, Costa, Thomassen, Barreto, Botoucharova, Mularoni e Jočic, Popovic,