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Ogur c. Turchia

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Costituisce violazione del combinato disposto degli articoli 1 e 2 della Convenzione il non porre in essere attività investigative caratterizzate dal requisito dell'effettività. Le competenti autorità dovranno esercitare ogni potere loro riconosciuto al fine di individuare i responsabili di un omicidio, anche se costoro siano appartenenti alle forze speciali di uno Stato membro.

 

Fatto:

Il 24 dicembre 1990 le forze di sicurezza turche eseguivano un'operazione armata al fine di identificare - ed eventualmente arrestare - possibili membri dell'organizzazione terroristica PKK. Tale azione aveva luogo in un sito minerario e, più in particolare, contro un rifugio isolato circondato da alture. Durante l'azione il signor M.O., impiegato nello stesso sito come guardiano notturno, rimaneva ucciso. Le versioni fornite dalle parti erano totalmente discordanti: il governo, da parte propria, affermava che l'incidente si fosse verificato durante uno scontro a fuoco fortuito tra le forze speciali e membri militanti del PKK, membri tra i quali presumibilmente figurava anche il signor M. O.; la madre di costui ( la ricorrente) sosteneva invece che il proprio figlio ricoprisse semplicemente il ruolo di guardia presso tale rifugio e che si trovasse, quindi, sul luogo dell'incidente meramente per adempiere ai propri obblighi lavorativi. Dopo brevi indagini, l'ufficio del procuratore si spogliava della propria competenza ad indagare. Secondo l'opinione dell'organo inquirente, infatti, le azioni delle forze di sicurezza non dovevano essere soggette alle regole che disciplinavano i reati commessi dai privati cittadini, bensì alle specifiche norme di carattere penale previste dall'ordinamento turco per chi ricopriva la qualifica di pubblico ufficiale. Secondo il Procuratore, infatti, le forze speciali non solo avevano agito per ordine diretto del Governatore, ma lo avevano anche fatto in una regione in cui vigeva lo stato di emergenza. Spogliatosi quindi dei propri compiti, il procuratore non dava così rilievo agli - scarni - elementi di prova raccolti in seguito alla morte della vittima. Tra questi figuravano, ad esempio, il rapporto della squadra di fanteria che aveva materialmente eseguito l'assalto (dal quale emergevano, in particolare, tre punti fondamentali: i membri della stessa squadra avevano aperto il fuoco dopo ripetute intimazioni a gettare le armi ai quattro membri che si trovavano dentro al rifugio; quelli sparati erano stati esclusivamente dei colpi di avvertimento non diretti ad uccidere; gli occupanti il rifugio avevano massicciamente risposto al fuoco ), le testimonianze degli occupanti del rifugio che erano sopravvissuti all'azione armata (i quali sostenevano di non aver sentito nessun invito a lasciare il rifugio, né di avere risposto al fuoco proveniente dalle alture circostanti) ed il parere del perito sopraggiunto sul luogo dell'incidente ( il quale sottolineava sì che vi fossero delle armi da fuoco all'interno del rifugio, ma che, con ragionevole certezza, nessuna di esse avesse sparato quella mattina, ad esclusione, forse, di una). Ricevuto il fascicolo del Procuratore, il Consiglio Amministrativo assumeva la titolarità del procedimento e, al termine di una sommaria attività dibattimentale, concludeva che non si dovesse procedere ad alcuna azione di carattere penale contro i membri delle forze di sicurezza. Secondo la ricostruzione operata dal Consiglio, la vittima era infatti morta dopo alcuni colpi di avvertimento sparati nel corso di un'operazione volta ad individuare possibili membri del partito terroristico PKK. Inoltre, né le testimonianze né i rilievi tecnici avrebbero con sicurezza potuto identificare Il colpevole di tale omicidio. Tale decisione veniva confermata dalla Corte Suprema Amministrativa.

La madre della vittima si rivolge quindi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, imputando allo Stato turco la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita, profilo sostanziale e procedurale). La medesima ricorrente chiede inoltre il risarcimento del danno ex art. 41 della Convenzione.

Sulla ricevibilità:

Il governo turco mette in evidenza due punti secondo i quali il ricorso non dovrebbe essere dichiarato ricevibile. Da un lato, il governo di Ankara sottolinea che la denuncia che ha dato il via alle indagini del procuratore è stata depositata non dalla applicante ma dal datore di lavoro della vittima. Non avendo, quindi, mai promosso personalmente alcuna azione contro il governo turco, la ricorrente non può sostenere di aver esaurito i mezzi di ricorso interni. Inoltre, il rappresentante di Ankara evidenzia che la stessa ricorrente non ha neppure utilizzato gli altri rimedi che l'ordinamento giuridico turco predispone - specialmente in materia civile e amministrativa - a favore di chi versi nella medesima situazione della madre di M.O..

Da parte propria, l'applicante afferma solamente di aver chiesto al procuratore di aprire un'indagine.

La Corte ritiene soddisfatta la condizione del previo esaurimento dei ricorsi interni. Infatti l'organo di Strasburgo sottolinea che, dato che un eventuale ricorso da parte della madre del signor M.O. avrebbe realisticamente avuto il medesimo esito rispetto a quello già proposto dal datore di lavoro della vittima, il fatto che il procedimento penale sia sorto a seguito di denuncia di quest'ultimo non poteva essere impediente alla ricevibilità della causa. Inoltre, la Corte statuisce che il requisito del previo esaurimento dei mezzi di ricorso interni deve considerarsi soddisfatto anche laddove l'applicante non abbia proposto gli stessi, esatti, procedimenti civili ed amministrativi cui aveva fatto riferimento il governo.

Diritto:

Art. 2.2 (Della violazione dell'articolo 2, comma secondo, della Convenzione - Eccezione al divieto di togliere intenzionalmente la vita)

Nella decisione in questione, la Corte sottolinea anzitutto che le disposizioni delineate nel comma secondo dell'articolo 2 della Convenzione ( la morte non si considera inflitta in violazione di questo articolo quando risulta da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: a) per assicurare la difesa di ogni persona dalla violenza illegale; b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l'evasione di una persona regolarmente detenuta; c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o una insurrezione-) non potranno che estrinsecarsi nella forma dell' " assolutamente necessario". Tale perifrasi viene interpretata dalla Corte alla guisa di una forma di doverosa proporzionalità tra le azioni poste in essere dai pubblici ufficiali ed i fini perseguiti dagli stessi. In secondo luogo, la Corte ribadisce il fatto che il dettato normativo in oggetto non può essere inteso come facente riferimento al solo caso in cui la vita sia stata tolta intenzionalmente. La fattispecie in esame descrive infatti casi che consentono un uso della forza da cui possa risultare, come conseguenza non voluta, la morte di un individuo. E' dunque implicito in tali disposizioni che l'art.2 non debba necessariamente riguardare solamente i casi di privazione della vita volontariamente posti in essere da parte degli organi dello Stato, ma altresì i casi in cui la medesima privazione sia avvenuta a seguito di un atteggiamento colposo degli organi dello Stato.

La Corte - entrando nel merito del caso di specie - sostiene quindi che le indagini del procuratore ( seppur incomplete) nonché le testimonianze dei sopravvissuti all'attacco pongono in luce come la morte accidentale della vittima non sia, in realtà, avvenuta durante uno scontro a fuoco con i presunti terroristi del PKK. In particolare, la Corte afferma che i colpi sparati non possono essere semplici colpi di avvertimento. Questi ultimi, invero, se propriamente esplosi in aria, in nessun modo potrebbero colpire alla nuca un uomo.

La Corte ritiene quindi che l'uso della forza utilizzato contro la vittima non sia, pertanto, né proporzionato né assolutamente necessario al fine o di difendere la vita dei membri delle forze di sicurezza o di compiere un arresto

 

Art. 2.1 ( Diritto alla Vita, profilo procedurale: obbligo di investigazioni adeguate)

Secondo l'interpretazione della Corte, dalla lettura del disposto degli articoli 1 e 2 della Convenzione EDU è fatto obbligo agli Stati di condurre investigazioni aventi il carattere di effettività. Nel caso di specie, la Corte rileva un triplice ordine di manchevolezze attribuibili alle autorità turche. In primis, lo fa con riferimento all'attività investigativa del Procuratore incaricato di svolgere le indagini. Egli le pone in essere modo incompleto, non provvedendo infatti in alcun modo ad esercitare un'attività investigativa volta ad identificare chi, tra le forze dell'ordine, abbia effettivamente esploso il colpo mortale. In secundis, ad opinione dell'organo di Strasburgo neppure la Corte Amministrativa pone in essere attività istruttorie miranti ad identificare realmente il colpevole della morte di M.O. Tale organo, infatti, non solo si limita a ricevere gli scarni mezzi istruttori trasmessi dal Procuratore, ma non predispone neppure ulteriori accertamenti, limitandosi a statuire che, in base alle risultanze probatorie, non sia possibile procedere all'identificazione del responsabile materiale dell'omicidio colposo della vittima. La Corte, in tertiis, pone l'accento sul fatto che al vertice della Corte Amministrativa turca siede il Governatore della medesima provincia dove era stato consumato il delitto, ovvero la stessa persona che era anche stato a capo dell'operazione eseguita dalle forze dell'ordine turche. Il giudizio di costui, pertanto, non può essere in alcun modo terzo ed indipendente ed avere, quindi, le qualità necessarie a soddisfare il requisito di effettività richiesto dalla Corte.

In conclusione, la Corte ritiene che vi sia stata una violazione dell'articolo 2 della Convenzione in quanto l'attività investigativa non ha integrato il requisito dell'effettività

 

Opinioni Dissenzienti

 

Il giudice Bonello avrebbe ritenuto più consono risarcire altresì il danno pecuniario, in considerazione del fatto della giovane età della vittima e del fatto che la morte della stessa ha privato la sua famiglia di un'importante fonte di reddito.

Il giudice Golcuklusottolinea la totale carenza di legittimità a proporre azione da parte della ricorrente nonché il fatto che la Corte non abbia tenuto in considerazione che quella svolta dalle forze speciali fosse un'operazione ad alto rischio, operazione che avrebbe quindi necessitato di altro parametro interpretativo. Inoltre, il giudice ritiene eccessiva la compensazione accordata alla madre della vittima.

 


La sentenza in esame si inserisce nel solco giurisprudenziale - tracciato dalla Corte a partire sin dagli anni novanta - secondo cui l'articolo 2, deve essere letto con riferimento ad un duplice profilo.

Da un lato, il profilo sostanziale dello stesso dettato normativo impone agli Stati membri non solo l'obbligazione di carattere negativo di non privare intenzionalmente della vita i propri cittadini, ma anche quella di carattere positivo di prendere le appropriate misure per salvaguardare le vite di coloro che si trovino sotto la giurisdizione statale. Dall'altro, il profilo procedurale dell'articolo in oggetto obbliga a che le indagini posseggano necessariamente il requisito dell'adeguatezza. Secondo tale interpretazione, l'attività investigativa dovrà dunque essere svolta non solo in maniera pronta ed indipendente, ma dovrà anche essere in grado di portare all'identificazione dei responsabili. Appare dunque con tutta evidenza il tentativo della Corte di dare viva applicazione al contenuto dell'art.2 CEDU, modulandolo in modo tale da vincolare - in modo sempre più stringente - gli Stati membri al rispetto del supremo valore della vita umana. Infatti, attraverso un'interpretazione di carattere evolutivo dell'art.2, la Corte ha non solo richiesto una sempre maggiore attenzione degli Stati in tutte quelle situazioni che potrebbero portare alla privazione della vita di un proprio concittadino, ma ha altresì imposto agli Stati, qualora una privazione della vita si fosse ugualmente verificata, un'attività investigativa tale da garantire la punizione di chi abbia infranto la normativa penale nazionale.

Sembra, da ultimo, utile sottolineare come la tutela della vita umana sia stata estesa dalla Corte al punto tale da poter giungere a dichiarare ricevibili ricorsi che - come quello in oggetto - difficilmente avrebbero potuto essere oggetto di una pronuncia nel merito se proposti a tutela di un altro diritto previsto dalla Convenzione EDU.


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