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Opuz c. Turchia

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Sussiste la violazione dell’art. 2 e 3 Cedu qualora le autorità statali non predispongano le misure necessarie al fine di proteggere la vita delle persone sottoposte alla propria giurisdizione, nonchè di evitare che le stesse subiscano trattamenti inumani e degradanti .

E’ravvisabile la violazione dell’art. 14 Cedu , ogniqualvolta uno Stato membro non adotti una legislazione interna volta a prevenire un trattamento discriminatorio basato sul sesso.

 

Fatto:

La Sig.ra Opuz, di cittadinanza turca, sposò il marito, Sig. H.O., nel 1995. Tra il 1995 ed il 2001, la ricorrente e sua madre furono vittime di numerosi episodi di violenza da parte del marito, regolarmente denunciati presso le autorità turche.  Nonostante la gravità degli abusi, i procedimenti penali avviati a carico dell’uomo vennero sistematicamente archiviati, in quanto le donne, sotto la pressione di continue minacce, ritirarono le denunce sporte nei suoi confronti. La prima condanna arrivò nel 1998, quando l’uomo investì la madre della ricorrente provocandole lesioni gravi. Tuttavia, la pena comminata fu solo un’ammenda di 839.957.040 lire turche.

La escalation di violenza messa in atto dal Sig. H.O. sfociò nel 2001 nell’omicidio della madre della Sig.ra Opuz, uccisa con una pistola sotto gli occhi di un passante.  Per tale reato il Sig. H.O. fu processato e condannato all’ergastolo, ma la Corte d’ Appello turca ridusse la pena a 15 anni di detenzione, attesa la “buona condotta” tenuta dal Sig. H.O. durante il processo e ne ordinò il rilascio immediato.

La ricorrente adiva la CEDU, invocando la violazione degli artt. 2 ( diritto alla vita), 3 ( divieto di trattamenti inumani e degradanti), nonché l’art. 14 in combinato disposto con gli artt. 2 e 3 CEDU.

Diritto:

La ricorrente propone ricorso alla Corte EDU e, deducendo la violazione degli artt. 2 e 3 CEDU, sostiene che le autorità turche non sono state in grado di proteggere la vita di sua madre dal comportamento omicida del marito e che non sono intervenute al fine di contrastare le reiterate violenze fisiche e psicologiche da lei stessa patite. La Sig.ra Opuz contesta, inoltre, la violazione degli artt. 6 e 13 CEDU, stante l’inefficacia del procedimento penale avviato in Turchia contro il marito. La ricorrente lamenta, infine, la violazione dell’art. 14 in combinato disposto con gli artt. 2 e 3 CEDU, in quanto la legge turca considera le donne inferiori rispetto all’uomo, legittimando in tal modo un trattamento discriminatorio nei loro confronti.

 

Articoli 2 e 3 - Diritto alla vita e divieto di trattamenti inumani e degradanti

In merito alle doglianze relative agli artt. 2 e 3, la Corte EDU ne ha dichiarato la violazione, in quanto le autorità nazionali non hanno adempiuto gli obblighi positivi di proteggere il bene della vita e di evitare trattamenti inumani e degradanti.

Le autorità turche, infatti, non hanno predisposto misure idonee a prevenire, reprimere e sanzionare le azioni criminose compiute dal marito, che hanno assunto una tale gravità da essere qualificabili come atti inumani e degradanti.

A giudizio della Corte, con la sua inerzia la Turchia ha permesso gli atti di violenza compiuti nell’ambito familiare, sottoponendo le donne ad una maggiore vulnerabilità.

Nel caso di specie, la vulnerabilità è ricondotta alla condizione di assoggettamento in cui la donna è costretta a vivere a causa dei ripetuti maltrattamenti, tale da pregiudicare la propria capacità di autodeterminazione.

I casi di violenza domestica, conclude la Corte, impongono una peculiare e specifica attenzione e difesa da parte dello Stato.

 

Articolo 14- Divieto di discriminazione

Con riguardo alla violazione dell’articolo 14, la Corte europea ha preliminarmente richiamato i principi generali applicabili al caso di specie. In particolare ha ricordato che uno Stato membro assume un comportamento discriminatorio, allorquando adotti una legislazione interna che regolamenti in modo diverso, senza una giustificazione oggettiva e ragionevole, persone in situazioni significativamente simili, ovvero che abbia effetti pregiudizievoli nei confronti di un determinato gruppo sociale ( sul punto DH e altri c. Repubblica Ceca , 13 novembre 2007; Willis c. Regno Unito, 13 ottobre 1993.

La Corte evidenzia poi la necessità di inquadrare la fattispecie de qua alla luce delle disposizioni internazionali relative alla discriminazione delle donne ( cfr. fra tutte CEDAW, risol. n. 45/2003 ONU) e alcuni reports di organizzazioni non governative. In particolare dalle statistiche dell’Amnesty International, allegate dalla ricorrente, risulta che la maggior parte delle violenze domestiche è operata su donne di origine kurda, analfabete e non indipendenti economicamente, che vivono nella regione della ricorrente .

Sulla base di tali considerazioni, i giudici di Strasburgo osservano che, sebbene la legge turca n. 4320 del 1998 in vigore abbia previsto misure specifiche per la protezione delle donne contro la violenza domestica, la medesima non ha avuto, nel caso di specie, un effetto deterrente adeguato in grado di garantire l'efficace prevenzione degli atti illeciti di H.O. contro l'integrità personale della richiedente e di sua madre.

Pertanto, la Corte ha condannato la Turchia per la violazione dell’articolo 14 CEDU.

La Corte ha ritenuto, infine, che essendo stata dichiarata la violazione degli artt. 2,3, e 14 CEDU, non si dovessero esaminare separatamente le doglianze relative agli artt. 6 e 13.

Equa soddisfazione:

Quanto all’equa soddisfazione, la Corte ha riconosciuto alla Sig.ra Opuz la somma 30.000 € per i danni patiti, oltre al rimborso di 6.500,00 € per le spese giudiziarie.


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