L’obbligo di proteggere il diritto alla vita imposto dall’articolo 2 della Convenzione, implica ed esige di condurre indagini efficaci in ogni caso in cui vi è stata la morte di un individuo in circostanze sospette.
Sussiste violazione dell’art. 4 Cedu, qualora gli Stati Membri non adottino misure legislative adeguate e non collaborino al fine di reprimere il fenomeno della tratta degli essere umani.
Il ricorrente è il padre di Oxana Rantseva, una giovane donna di nazionalità russa morta a Cipro in circostanze sospette.
La Sig.ra Rantseva era arrivata a Cipro nel marzo 2001 con un visto “per artisti” per lavorare in un cabaret. Dopo appena tre giorni la ragazza abbandonava il posto di lavoro senza spiegazioni, lasciando solo un biglietto nel quale scriveva di voler tornare in Russia.
Il suo datore di lavoro, allora, la denunciava alla polizia locale per immigrazione illegale. L’uomo voleva che Oxana fosse espulsa dal Paese, in modo da poterla sostituire con un’altra ragazza. Infatti, una volta rintracciata in una discoteca a Limassol qualche giorno più tardi, il direttore del cabaret la consegnava alla Polizia per farla arrestare. Ma i poliziotti, effettuati gli opportuni controlli, rilasciavano la ragazza e gliela affidavano in attesa di ricondurla al Commissariato per ulteriori accertamenti. L’uomo la accompagnava nell’appartamento di un altro lavoratore del cabaret. Solo un’ora più tardi, la Sig.ra Oxana Ransteva precipitava dal balcone dell’appartamento dove si trovava.
Le autorità cipriote aprivano immediatamente un’inchiesta al fine di accertare le cause del decesso. Venivano raccolte le deposizioni di alcuni testimoni e veniva eseguita un’autopsia.
L’esame autoptico rilevava che la ragazza era morta per le lesioni riportate in seguito alla caduta avvenuta probabilmente nel tentativo di fuggire dall’appartamento. Pertanto, il Tribunale archiviava il procedimento, affermando che la ragazza era morta per un incidente, escludendo altre ipotesi di reato.
Il padre della ragazza, che aveva chiesto invano di partecipare alle indagini condotte a Cipro, riportava il corpo della figlia in Russia, dove veniva sottoposto ad una nuova autopsia. Questa evidenziava la necessità di svolgere ulteriori indagini. Pertanto, il Governo russo sollecitava le autorità cipriote a riaprire l’inchiesta penale. Tuttavia, le autorità Cipriote si rifiutavano, in quanto ritenevano il procedimento penale concluso ed il provvedimento adottato definitivo.
Il padre della giovane donna adiva la CEDU lamentando la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (proibizione della tortura), 4 (proibizione della schiavitù e del lavoro forzato), 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), 6 ( diritto a un equo processo), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione.
Il ricorrente propone ricorso alla Corte di Strasburgo e, invocando la violazione degli articoli 2, 3, 4, 5, 6 e 8 della Convenzione, sostiene che le autorità cipriote non hanno adeguatamente tutelato la vita di sua figlia. Egli lamenta, inoltre, la mancanza di una effettiva ed efficace indagine volta ad accertare le cause della sua morte, da parte di entrambi gli Stati convenuti.
Infine, il Sig. Rantsev ritiene che le autorità russe e cipriote non hanno predisposto misure adeguate a proteggere la ragazza dal traffico di essere umani, di cui è stata vittima.
Il Governo Cipriota presenta una dichiarazione unilaterale ex art. 37 CEDU nella quale ha riconosciuto la propria responsabilità per i fatti contestati ed ha offerto un congruo indennizzo al ricorrente. Tuttavia, la Corte EDU, attesa la gravità dei fatti, ha deciso di trattare ugualmente il caso.
Art. 2- Diritto alla vita
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 2 Cedu, la Corte, dopo aver ricostruito la sua giurisprudenza in merito, ha ricordato che la suddetta norma, impone allo Stato non solo di astenersi dal causare la morte ma anche di adottare le misure necessarie per proteggere la vita di chi è sottoposto alla propria giurisdizione. Nel caso di specie, la Corte ritiene che il Governo cipriota non potesse in alcun modo prevedere gli avvenimenti che hanno provocato la morte della ragazza e, sulla scorta di tali considerazioni, conclude affermando che non sussiste violazione dell’art. 2 sotto il profilo dell’obbligazione positiva di proteggere la vita della sig.ra Rantseva.
Tuttavia, continua la Corte, la norma in esame impone implicitamente l’obbligo di condurre indagini ufficiali efficaci in caso di decessi in circostanze violente o sospette.
Le autorità competenti sono dunque tenute a svolgere un'indagine indipendente e imparziale. A giudizio della Corte, nella fattispecie de qua, le indagini non sono state sufficientemente rigorose e, a tal proposito, richiamando i requisiti minimi di efficienza elaborati nella sua precedente giurisprudenza, ha rilevato come le autorità nazionali non avessero approfondito alcuni aspetti controversi durante l'inchiesta sulla morte della signora Rantseva. È stato sottolineato, inoltre, come al ricorrente non fosse stata data la possibilità di partecipare alle indagini ed all’udienza.
Per tali motivi, la Corte ha concluso per la violazione degli obblighi procedurali previsti dall'art. 2 della Convenzione europea da parte delle autorità cipriote.
Viceversa, i giudici di Strasburgo non hanno constatato la violazione dell’art. 2 in capo alla Russia, in quanto non sussiste alcun obbligo di svolgere indagini in caso di morte di un proprio cittadino avvenuta al di fuori della propria giurisdizione.
Art. 3 - Proibizione della tortura
La Corte ritiene di non dover esaminare separatamente il ricorso sotto il profilo dell’Art. 3.
Art. 4- Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato
In merito alla violazione dell’art. 4, la Corte ritiene che tale disposizione ricomprenda il fenomeno della tratta degli esseri umani, a cui è ricondotta la fattispecie in esame.
Ad avviso dei Giudici Europei, la tratta degli esseri umani è equiparabile ad una forma di schiavitù e si sostanzia in un potere corrispondente a quello di proprietà. La persone, infatti, vengono trattate come beni da vendere e da destinare al lavoro forzato e/o alla sfruttamento sessuale. Al riguardo, la Corte condivide le osservazioni presentate da due organizzazioni non governative, la AIRE e l’Interrights.
I giudici di Strasburgo osservano inoltre come tale fenomeno sia in forte espansione negli ultimi anni, come peraltro confermato dalla stipula di convenzioni internazionali volte proprio ad arginare questo fenomeno fortemente lesivo della dignità umana; si pensi al Protocollo di Palermo e alla Convenzione contro la tratta degli esseri umani.
Pertanto, sostiene la Corte, sussiste in capo agli Stati Membri l’ obbligo positivo di adottare un sistema legislativo ed amministrativo adeguato non solo al fine di prevenire e reprimere la tratta, ma ad assicurare un’efficace tutela delle vittime, anche quelle che siano solo potenzialmente tali. Da qui l’esigenza di una stretta cooperazione giudiziaria e di polizia tra gli Stati, specificando che la tratta degli esseri umani è una condotta transfrontaliera punibile nel paese d’origine ed in quello di destinazione.
Dopo aver richiamato i principi generali applicabili al caso di specie, la Corte di Strasburgo esamina separatamente la posizione dei due Stati membri convenuti.
Per quanto concerne Cipro, la Corte osserva che lo Stato cipriota ha adottato nel 2000, in conformità alle disposizioni del Protocollo di Palermo, una legge che vieta il traffico e lo sfruttamento della prostituzione. Ad avviso dei giudici tale legge conferisce una tutela adeguata. Tuttavia, l'assenza di una politica di immigrazione adeguata favorisce il traffico di donne nel Paese. A tal proposito, i giudici richiamano le relazioni del Commissario per i diritti umani e del Mediatore europeo, nelle quali è evidenziato che la politica dei visti “ per artisti” a giovani donne cela lo sfruttamento delle prostituzione rendendo di fatto inefficace la legislazione in materia. Dalle relazioni è emerso inoltre che le autorità cipriote erano consapevoli che un numero considerevole di donne straniere, in particolare dalla ex-Unione Sovietica, entravano a Cipro con il visto di artisti ma venivano sfruttate sessualmente dai proprietari dei cabaret.
A parere della Corte, quindi, le autorità cipriote avrebbero dovuto sospettare che la giovane donna fosse una vittima dello sfruttamento della prostituzione. Sul punto, la Corte ha evidenziato una serie di carenze investigative da parte della polizia locale, che non ha mai interrogato la ragazza, limitandosi a controllare che non fosse un’immigrata illegale, affidandola al suo datore di lavoro.
L’inefficienza delle indagini condotte dopo la morte della donna rientra invece nell’ambito di applicazione dell’art. 2 Cedu.
Pertanto, alla luce di tali osservazioni, i giudici di Strasburgo hanno costatato la violazione da parte di Cipro dell’ art. 4 sotto il profilo degli obblighi di protezione, essendo stato accertato che le autorità statali non hanno adottato le misure operative necessarie per proteggere la sig.ra Rantseva dallo sfruttamento di cui è stata vittima. Hanno rilevato, inoltre, che la disciplina nazionale relativa al visto degli artisti non ha garantito alla sig.ra Rantseva una effettiva protezione contro la tratta degli esseri umani. Sussiste, quindi, anche sotto tale profilo, violazione dell’art. 4.
Per quanto riguarda la Russia, la Corte ricorda che la sua responsabilità nel caso di specie è limitata agli aspetti che rientrano nella sua giurisdizione.
I Giudici di Strasburgo evidenziano che, nonostante la legge penale russa non disciplini espressamente il reato de quo, gli sforzi compiuti delle autorità russe per far conoscere i rischi della tratta degli esseri umani attraverso una campagna di informazione condotta attraverso i media, sono da ritenersi sufficienti.
Pertanto, la Corte ritiene che il quadro giuridico e amministrativo in vigore in Russia al momento dei fatti fosse idoneo a garantire una tutela concreta ed efficace alle vittime, anche potenzialmente tali. La Corte osserva inoltre che, sebbene le autorità russe siano a conoscenza del problema generale delle giovani donne vittime dello sfruttamento della prostituzione in Stati esteri, non vi è alcuna prova che fossero a conoscenza di circostanze che dessero luogo ad un sospetto di un rischio reale ed immediato per la sig.ra Rantseva prima della sua partenza per Cipro.
Pertanto, la Corte ritiene che non vi è stata alcuna violazione dell'articolo 4 da parte del Governo russo sotto il profilo dell’obbligo positivo di adottare misure operative atte a proteggere la sig.ra Rantseva.
La Corte ricorda infine che, nei casi di traffico transfrontaliero, la condotta è punibile sia nel paese di origine che nel paese di destinazione. A questo proposito, i Giudici Europei sottolineano che la definizione di traffico, adottata nel Protocollo di Palermo e nella Convenzione contro la tratta degli esseri umani, comprende espressamente il reclutamento delle vittime, aspetto del fenomeno che necessita di un'indagine completa ed efficace. Nel caso di specie, le autorità russe non hanno predisposto misure idonee ad identificare le persone coinvolte nel reclutamento della sig.ra Rantseva, nè i metodi di reclutamento utilizzati.
Pertanto, atteso che il reclutamento si è verificato sul territorio russo e che le autorità russe sono state nella posizione migliore per condurre un'indagine efficace al riguardo, la Corte conclude per la violazione dell’art. 4 da parte del Governo russo, sotto il profilo dell'obbligo procedurale.
Articolo 5 - diritto alla libertà e sicurezza
Circa la pretesa violazione dell’art. 5 par. I, la Corte ribadisce che l'articolo de quo contiene un elenco tassativo di ipotesi giustificative della privazione della libertà, che, pertanto, sarà illecita a meno che non rientri in una di queste fattispecie.
Nel caso di specie, la Corte sottolinea come la sig.ra Rantseva sia stata trattenuta illegittimamente prima presso il comando di polizia, poi nell’appartamento privato, atteso che il nome della donna non era presente nella lista delle persone ricercate.
La Corte conferma la responsabilità di Cipro per la violazione dell’art. 5 par. I.
I Giudici di Strasburgo dichiarano inammissibile il ricorso sotto il profilo della violazione degli Artt. 6 e 8 Cedu.
Ai sensi dell’art. 41 della Convenzione, la Corte ha condannato Cipro al pagamento in favore del ricorrente della somma di 40.000 euro per danni non patrimoniali e 3.150 euro per le spese giudiziarie. La Russia deve invece corrispondere la somma di 2.000 euro per danni non patrimoniali.