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Soare ed altri c. Romania

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Nell’ipotesi in cui si verifichi un fatto grave per la vita e per la salute di una persona, lo Stato contraente deve apprestare tutte le misure necessarie per la ricerca della prova, per l’instaurazione di un processo equo ed effettivo, allo scopo di individuare i responsabili dell’evento dannoso, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla CEDU.

 

Fatto:

I ricorrenti, Mugurel Soare, Angela Vlasceanu e Dorel Baicu, sono tre cittadini rumeni nati rispettivamente nel 1981,1951 e 1969.

Il 19 maggio del 2000, i tre ricorrenti , mentre si recavano in ospedale a trovare la loro madre, notavano il loro ex cognato per strada. Il Sig. Mugurel Soare, rincorreva l’ex cognato che scappava gridando aiuto.

Una pattuglia della polizia in borghese, appartata nelle vicinanze per indagare su alcuni furti di veicoli, accortasi dell’inseguimento, provvedeva a fermare il Sig. Soare. Uno degli agenti cercava di immobilizzarlo a terra e un attimo dopo lo colpiva con un proiettile sparato all’altezza della testa, ferendolo gravemente.

Gli altri due ricorrenti (Angela Vlasceanu e Dorel Baicu) assistevano inermi all’accaduto e ancora scossi, venivano ristretti nei locali della polizia per essere sentiti come testimoni oculari dell'incidente. Nel corso dell’interrogatorio gli veniva chiesto se durante l’aggressione erano in possesso di coltelli. Entrambi, però, seppur esausti perché privati per lungo tempo di cibo ed acqua, dichiaravano che non erano in possesso di armi e che l’agente aveva sparato, senza motivo, ferendo gravemente alla testa il Sig. Soare. Il mattino successivo, venivano finalmente liberati.

Il 20 giugno del 2000 il procuratore militare ordinava l’esperimento della perizia medico legale da effettuarsi anche sul corpo dell’agente di polizia, rimasto ferito durante l’aggressione.

Dagli accertamenti medico legali effettuati, emergeva che la ferita all’addome presente sul corpo dell agente di polizia era stata, con tutta probabilità, causata dal coltello sequestrato dalla polizia nel corso dell’aggressione.

L’esame medico legale effettuato, invece, sul corpo del Sig. Soerte, evidenziava una profonda lacerazione cranica causata dal colpo di arma da fuoco, ma concludeva sostenendo che non era possibile individuare l’esatta traiettoria del colpo poiché le persone erano in movimento in quel momento.

Il 24 luglio del 2000, il Tribunale militare, sulla base degli elementi raccolti, dichiarava che l’agente non poteva rispondere del reato commesso poiché aveva agito per legittima difesa. Le motivazioni di tale pronunzia non venivano comunicate ai ricorrenti.

Successivamente, però, il procuratore generale decideva di riaprire il caso poiché i testimoni erano stati ascoltati solo dalla polizia e mai più sentiti dal pm nel corso del giudizio.

Riascoltati, i ricorrenti confermavano quanto già dichiarato precedentemente e cioè che non erano armati al momento dell’aggressione.

Nella stessa fase accadeva un fatto alquanto curioso, il medico legale che aveva effettuato la perizia sul corpo del Sig. Soare, dichiarava di aver commesso un errore di valutazione e correggeva l’esito della perizia dichiarando che il colpo di arma da fuoco era stato sparato dal basso verso l’alto.

A seguito delle modifiche legislative intervenute medio tempore, la competenza per il caso in questione passava al Tribunale di Bucarest, che il 23 luglio del 2003, emetteva sentenza di assoluzione nei confronti dell’agente che aveva ferito gravemente il Sig. Soare. Basandosi sulle dichiarazioni dell’agente di polizia, il quale durante tutto il procedimento e nell’interrogatorio aveva sempre dichiarato di aver agito per legittima difesa e solo dopo essere stato dapprima aggredito e ferito dal ricorrente.

I ricorrenti proponevano, dunque, ricorso a Strasburgo lamentando, il primo la violazione degli artt. 2 CEDU (diritto alla vita), 3 CEDU (divieto di trattamenti disumani e degradanti), 13 (diritto ad un ricorso effettivo) 14 (divieto di discriminazione); gli altri due ricorrenti invocavano, invece, la violazione dell’art. 13, nonché la violazione dell’art. 5 CEDU (diritto alla libertà e sicurezza) e dell’art. 3 CEDU (trattamenti disumani e degradanti).

Diritto:

Art. 2 Cedu: Diritto alla vita, Art. 3 Cedu: Divieto della tortura

Il Sig. Soare lamenta la violazione del diritto alla vita, provocata dal colpo di arma da fuoco inflittogli dall’agente di polizia a causa del quale ha subito una paralisi parziale del corpo.

A tal proposito, il quadro giuridico ed amministrativo, offerto dalla normativa rumena, sull’uso legittimo delle armi appare essere assai generico. In particolare, la legge n. 17 del 1996 che regola l’uso delle armi da fuoco, non contiene alcuna garanzia contro l’uso improprio delle stesse. Il codice deontologico della polizia, dal canto suo, ha adottato il 25 agosto 2005, i principi generali in materia di uso di armi da fuoco tesi a legittimare lo stesso solo in casi di necessità e proporzionalità tra difesa ed offesa senza, però, alcuna specifica disposizione circa le condizioni e le procedure per l’utilizzo delle armi stesse.

Su tale materia la Corte Europea si è pronunciata stabilendo in via generale il principio secondo il quale i Governi firmatari devono astenersi da qualsiasi comportamento che possa causare la morte dei loro cittadini. A tal fine ogni Stato ha il dovere di adottare la normativa più efficace idonea a garantire la tutela di questo diritto fondamentale. ( Kilic c. Turchia, n. 22492, § 62, CEDU 2000).

Incombe, in capo agli Statio contraenti, il dovere primario di garantire il diritto alla vita, attraverso l’adozione di un sistema atto a reprime e punire le violazioni di tale diritto.

Per quanto concerne, in particolare, l’uso della forza di polizia mortale, può essere giustificato solo sulla base di determinate circostanze.

Le operazioni di polizia devono essere autorizzate e regolamentate dalla legislazione nazionale, in quanto parte di un sistema di garanzie adeguate ed efficaci contro l’arbitrio e l’abuso di forza da parte degli organi di polizia. (Makaratzis c. Grecia, n. 50385, §58, CEDU 2004).

La Corte Europea, ha già in precedenza affermato, che in materia di uso delle armi da fuoco, il loro utilizzo può ritenersi legittimo, ed assurgere a scriminante, solo nell’ipotesi in cui l’intervento dello Stato sia assolutamente necessario per resistere ad un offesa o ad un attacco. In particolare, l’uso della forza deve essere strettamente proporzionato alla minaccia subita.

In altri termini, affinché possa risultare legittima, la forza in questione, non deve essere stata impiegata al di là dell’uso assolutamente necessario e deve risultare strettamente proporzionata ad uno degli usi consentiti dallo stesso art. 2 CEDU.

Or bene, nel caso di specie la Corte ha ritenuto innanzitutto che il quadro giuridico offerto dalla normativa rumena, non è sufficiente a fornire il necessario livello di protezione del diritto alla vita, tale affermazione è corroborata dagli avvenimenti accaduti nel caso di specie.

Il ricorso all’uso della forza, ad opera della polizia locale, non è giudicata dalla Corte di Strasburgo giustificato in quanto gli elementi sottoposti al suo vaglio non permettono di concludere in tal senso. Le prove raccolte consistono, infatti, nelle stesse dichiarazioni dei poliziotti; inoltre, le testimonianze dei privati cittadini, presenti all’evento, non sono nemmeno stati esaminate dalle autorità domestiche.

Per questo motivo la Corte non ritiene dimostrato che l’uso della forza da parte della polizia locale sia conforme al dettato dell’art. 2 Cedu.

Inoltre, la Corte ha dichiarato, altresì, la violazione dell’art. 2 poiché ha ritenuto inadeguate le indagini svolte dalle autorità rumene. Essa ha precisato che, l’obbligo di tutelare il diritto alla vita richiede una indagine ufficiale effettiva, in particolar modo quando l’uso della forza ha provocato la morte dell’uomo.

Relativamente alla allegata violazione dell’art.3 Cedu, la Corte, ricollegandosi a quanto dichiarato relativamente alla violazione dell’art. 2, ritiene non necessario analizzare tale doglianza.

Art. 3 Cedu: Proibizione della tortura

Relativamente ai presunti maltrattamenti subiti dagli altri due ricorrenti nel corso dell’interrogatorio avvenuti nell’immediatezza del fatto, il governo rumeno si è difeso sostenendo che non vi erano prove atte a dimostrare l’esistenza di trattamenti disumani e degradanti inflitti dalla polizia sui testimoni nel corso dell’interrogatorio.

La Corte, invece, ritiene che le condizioni nelle quali i ricorrenti sono stati interrogati ha determinato negli stessi dei sentimenti di angoscia e di inferiorità, in particolare la mancanza d’acqua, l’impossibilità di riposare durante la notte, nonchè la circostanza di essere stati sottoposti a ciò dopo aver assistito all’evento, ha determinato, secondo i Giudici di Strasburgo, la violazione dell’art. 3 Cedu.

Artt. 13 e 6.1 Cedu, in combinato disposto con gli artt. 2 e 3 Cedu

I ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 13 e 6.1, evidenziando la mancanza di un ricorso effettivo e di un equo processo.

In particolare, i ricorrenti si sono visti privare dal pm della possibilità di intervenire nel procedimento penale come parti civili e di essere stati privati di alcuni diritti fondamentali legati al giusto processo, come il diritto di essere informati, il diritto di accedere al fascicolo e del diritto di ricevere le motivazioni dei provvedimenti decisori.

La Corte ha ribadito che gli artt. 13 e 6.1 garantiscono il diritto di un ricorso effettivo per far valere i diritti e le libertà fondamentali garantite dalla CEDU.

Pertanto, data l’importanza fondamentale dei diritti garantiti dagli artt. 2 e 3 della Convenzione, in caso di morte o aggressioni gravi è necessario garantire un indagine approfondita ed efficace capace di condurre all’individuazione e alla punizione dei responsabili, ed al pagamento dell’indennizzo, se dovuto.

In particolare, per quanto riguarda il diritto ad un ricorso effettivo lamentato dalle vittime, la Corte ricorda che l’art.13 CEDU garantisce la tutela dei diritti e delle libertà della Convenzione attraverso l’obbligo, per gli Stati contraenti, di prevedere un rimedio giurisdizionale interno che sia efficace, nel senso che il suo esercizio non deve essere ingiustificatamente ostacolato da atti ed omissioni da parte dello Stato. ( Aydin c. Turchia, n.21986, §103, CEDU 1997)

Alla luce dei diritti fondamentali garantiti dall’art.2 e 3 della Convenzione, l’art.13 offre una tutela maggiore nell’ipotesi in cui sia avvenuta un aggressione quasi letale, come nel caso di specie, attraverso la previsione dell’obbligo da parte dello Stato interessato, di porre in essere un’indagine approfondita ed efficace capace di condurre all’individuazione ed alla punizione dei responsabili.

Nel caso in esame, la Corte ha constatato che i rimedi giurisdizionali rumeni, siano essi di natura civile o penale, non consentono di assolvere all’obbligo imposto dall’art. 13 essendo stata preclusa, ai ricorrenti, sia la costituzione civile nel processo penale, sia una tutela piena ed effettiva nell’ambito del procedimento penale stesso.

Per tutti i suddetti motivi, la Corte ritiene sussistente la violazione degli artt. 13 e 6.1.

Art. 14 Cedu: Divieto di discriminazione

Per quanto attiene alla presunta violazione dell’art. 14 cedu, in combinato disposto con gli articoli 2 e 3, il Sig. Soare, sostiene che le violenze subite, l'attentato alla sua vita e la mancanza di un accertamento giudiziario effettivo fossero conseguenza delle sue origini Rom.

Il governo, da canto suo ritiene che nel caso di specie non sussiste nessuna disparità di trattamento legata in qualche misura all’etnia della vittima. Al contrario l’agente ha agito solo ed esclusivamente per legittima difesa e per prestare aiuto all’altro cittadino, anch’esso di origine rom, che era inseguito dal ricorrente armato di coltello.

La Corte, osserva che affinché possa essere considerato responsabile uno Stato di atti discriminatori è necessario che tali atti siano posti in essere senza una giustificazione obiettiva e ragionevole.

In altri termini, la violenza razziale è un affronto alla dignità umana che, in ragione delle sue conseguenze e ripercussioni, richiede una vigilanza speciale da parte delle autorità. Perciò essi devono utilizzare tutti i mezzi a disposizione per combattere il razzismo ed ogni altra forma di violenza ad esso legata, contribuendo a rafforzare il concetto che nelle società democratiche la diversità razziale non rappresenta una minaccia bensì una fonte di ricchezza ( Nachova c. ed altri c. Bulgaria, n. 43577, §145, CEDU 2005). Da ciò ne discende che, quando da episodi di violenza vi è il timore che essi possano essere ricollegati a ragioni razziali, le autorità devono apprestare tutte le misure necessarie e ricercare tutte le prove esistenti al fine di addivenire alla verità sulle cause della violenza stessa.

Sulla base della censura del ricorrente, il compito della Corte, in questo caso, è quello di stabilire se il razzismo è stato o meno la causa che ha scatenato il comportamento della polizia. A tal fine, i Giudici internazionali, per valutare le prove a disposizione hanno adottato il sistema standard della prova “oltre ogni ragionevole dubbio” grazie al quale sono addivenuti alla conclusione che nel caso di specie non sono state offerte prove, da parte dei ricorrenti, in grado di dimostrare che gli atteggiamenti dei poliziotti sono stati di natura razzista.

In altri termini, la Corte non ha potuto, attraverso gli elementi a sua disposizione, stabilire l’esistenza di un nesso causale tra i lamentati atteggiamenti razzisti e la violenza posta in essere dal funzionario di polizia sul cittadino rom.

Il giudizio della Corte ha ritenuto, in conclusione, che il poliziotta ha agito al solo scopo di prestare aiuto e soccorso ad un altro cittadino di origine rom e dunque tale avvenimento non può in alcun modo considerarsi collegato ad aspetti razziali.

Art. 5 Cedu: Diritto alla libertà e sicurezza

I due ricorrenti sentiti come testimoni hanno altresì invocando la violazione dell'art. 5, sostenendo che la privazione della loro libertà, avvenuta a seguito dell’aggressione e finalizzata all’esperimento dell’interrogatorio da parte degli organi della polizia, è stata illegittima. Essi dichiarano di essere stati sottoposti ad una misura di detenzione che non trova conforto in nessuna disciplina giuridica rumena. A parere dei ricorrenti, tale detenzione forzata aveva solo lo scopo per gli agenti di esercitare pressioni sui testimoni con l’obiettivo di indurli a modificare le loro dichiarazioni.

Il Governo si difende, sostenendo che le ragioni della detenzione erano legate al pericolo di fuga dei testimoni comunque sospettati di aver concorso a commettere il reato di aggressione nei confronti del loro concittadino.

La Corte, sul punto ricorda che l’art. 5 prescrive innanzitutto la “legalità” della detenzione attraverso il rispetto delle vie legali esistenti nel Paese convenuto. Inoltre, lo stesso articolo 5 CEDU elenca i casi in cui la Convenzione ammette la privazione della libertà allo scopo di garantire la ratio della disposizione stessa e cioè la garanzia che nessuno sia privato arbitrariamente della libertà personale.

In particolare l’art. 5 stabilisce che una persona può essere arrestata o detenuta al fine di garantire l’adempimento di un obbligo prescritto dalla legge e purché l’obbligo in questione sia concreto e giustificato senza che esso assumi carattere punitivo (Iliya Stefanov c. Bulgaria, n. 65755/01, 72, CEDU 2008).

Inoltre, una volta soddisfatto tale obbligo lo stato di detenzione deve immediatamente cessare.

Nel caso di specie la Corte ha potuto constatare che i ricorrenti sono stati trattenuti dagli agenti della polizia al solo scopo di essere sentiti come testimoni e non anche per assolvere ad una eventuale misura cautelare detentiva.

Perciò ne discende che nel caso di specie nessun rimprovero ai sensi dell’art. 5 può essere fatto agli agenti di polizia tenuto conto anche del fatto che i ricorrenti sono stati trattenuti per il periodo strettamente necessario all’espletamento delle dichiarazioni testimoniali.

Equa soddisfazione:

La Corte condanna lo Stato rumeno al pagamento di euro 90.000 a titolo di risarcimento danni subiti dal Sig. Soare, nonché 40.000 euro per il danno morale. Lo Stato rumeno dovrà, altresì, corrispondere ai Sig.ri Angela Vlasceanu e Dorel Baicu la somma di euro 10.000 ciascuno a titolo di danno morale.


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